Approfondimenti sulla PMA: la fecondazione eterologa e la diagnosi genetica preimpianto



In Italia l’accesso alla PMA è regolato dalla Legge 19 febbraio 2004 n. 40, una norma molto dibattuta, che nel tempo ha subito diverse revisioni. Grazie alle successive sentenze della Corte costituzionale, oggi le coppie italiane con problemi di infertilità possono accedere alle tecniche di fecondazione eterologa e far ricorso alla diagnosi genetica preimpianto.

 

La normativa in materia di PMA

La Legge 40/2004 stabilisce che il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita sia consentito solo «qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità». La normativa italiana limita la possibilità di accedere ai trattamenti alle «coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi», mentre in Spagna, ad esempio, l’accesso alle tecniche PMA è consentito anche ai single. Questa è l’unica differenza legislativa, che quindi non può più giustificare il ricorso a quello che fino ad oggi è stato definito ‘turismo procreativo’.

Per evitare la formazione di embrioni in sovrannumero l’articolo 14, comma 2, prevedeva un numero massimo di tre embrioni, da formare e trasferire nell’utero con un unico e contemporaneo impianto. Con la sentenza n. 151 del 2009 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di tale restrizione. Ciò permette di ottenere in un singolo ciclo di stimolazione, qualora l’età lo consenta e la riserva ovarica della donna sia adeguata, un numero superiore di embrioni senza dover ripetere il trattamento. In caso di insuccesso del primo transfer, o qualora la coppia desideri un’altra gravidanza in futuro, potrà utilizzare gli embrioni già prodotti avendo la stessa chance di gravidanza malgrado sia passato del tempo.

L’articolo 4, comma 3, sanciva il divieto assoluto di ricorrere a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, ossia alla donazione di gameti femminili (ovociti) o maschili (spermatozoi) esterni alla coppia. Con la sentenza n. 162 del 2014 la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo tale impedimento, in quanto lesivo del diritto alla salute e all’autodeterminazione delle coppie, introducendo la possibilità di fare ricorso alla fecondazione eterologa nei casi in cui venisse accertata l’esistenza di una patologia che fosse «causa irreversibile di sterilità o infertilità assolute».

Attraverso la sentenza n. 96 del 2015, in seguito, la Corte costituzionale ha raggiunto un altro importante traguardo in termini legislativi, consentendo l’accesso alle tecniche di PMA anche alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, auspicando l’intervento del legislatore per definire l’elenco delle malattie su cui effettuare la diagnosi genetica preimpianto.

 

I dati sulla PMA in Italia

Per consentire la trasparenza delle procedure adottate e dei risultati conseguiti, la Legge 40/2004 stabilisce che entro il 28 febbraio di ogni anno l’Istituto Superiore di Sanità rediga un rapporto per il Ministero della Salute, sulla base dei dati forniti dalle strutture iscritte al Registro Nazionale PMA. A seguito di tale rilevazione il Ministero, entro il 30 giugno di ciascun anno, presenta al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione della legge.

La Relazione PMA 2020 mostra che nel 2018 in Italia hanno fatto ricorso alle tecniche di PMA 77.509 coppie, di cui:

  • 10.938 coppie trattate con Tecniche di I livello senza donazione di gameti;
  • 59.358 coppie trattate con Tecniche di II e III livello senza donazione di gameti (42.090 con tecniche a fresco; 17.268 con tecniche di scongelamento di embrioni e ovociti);
  • 488 coppie trattate con Tecniche di I livello con donazione di gameti;
  • 6.725 coppie trattate con Tecniche di II e III livello con donazione di gameti.

La relazione evidenzia un leggero incremento della percentuale di donne ultraquarantenni che iniziano un ciclo con tecniche a fresco e, in generale, un aumento dell’età media delle pazienti che vi fanno ricorso (36,7 anni). Nella fecondazione eterologa l’età media della donna risulta più elevata: 41,6 anni se la donazione è di ovociti; 34,8 anni se la donazione è di seme. «La maggiore età di chi accede ai cicli di donazione sembra indicare come questa tecnica sia scelta soprattutto per infertilità fisiologica, dovuta appunto all’età della donna e non per patologie specifiche».

 

L’importanza della fecondazione eterologa e della diagnosi genetica preimpianto

La fecondazione eterologa rappresenta un’importante conquista per i casi di grave infertilità di coppia. Le attuali indicazioni al ricorso alle tecniche di fecondazione eterologa in Italia sono regolamentate dalle linee guida del 2015: «tutte le situazioni di sterilità comprovata di uno dei due partner, o di entrambi, in cui non si possa disporre dei propri gameti competenti».

In maniera più dettagliata la Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome (14/109/CR02/C7SAN) specifica:

a) cause femminili

«le indicazioni sono tutte le situazioni mediche o iatrogene di sterilità comprovata in cui la donna non possa disporre dei propri ovociti validi:

donne con ipogonadismo ipogonadotropo; donne in età avanzata riproduttiva ma comunque in età potenzialmente fertile; donne che sanno di essere affette o portatrici di un significativo difetto genetico o che hanno una storia familiare di una condizione per la quale lo stato di portatore non può essere determinato; donne con ovociti o embrioni di scarsa qualità o ripetuti tentativi di concepimenti falliti tramite PMA; donne con fattore iatrogeno di infertilità».

b) cause maschili

«partner maschile con dimostrata infertilità da fattore maschile severo; partner maschile con disfunzione eiaculatoria incurabile; uomini che sanno di essere affetti o portatori di un significato difetto genetico o che hanno una storia familiare di una condizione per la quale lo stato di portatore non può essere determinato; partner maschile con infezione sessualmente trasmissibile che non può essere eliminata; uomini con fattore iatrogeno di infertilità; la partner femminile è Rh-negativo e gravemente isoimmunizzata e il partner maschile Rh-positivo»

La sentenza della Corte costituzionale consente ai futuri genitori di richiedere la diagnosi genetica preimpianto per conoscere l’incidenza delle anomalie cromosomiche o genetiche nelle procedure di PMA sia di tipo omologo che eterologo, per evitare il trasferimento inconsapevole di embrioni che non avrebbero possibilità di impiantarsi o di provocare un aborto o la nascita di bambini malati.

 

Il Centro PMA di Villa Margherita

Presso il Centro PMA di Villa Margherita le coppie possono usufruire di percorsi PMA personalizzati di tipo omologo ed eterologo, con tecniche di I, II e III livello, in base al caso specifico e al quadro clinico della coppia. L’équipe multidisciplinare, guidata dal dott. Pierluigi Giannini, si avvale della presenza di diversi specialisti, tra cui il genetista. L’intervento del genetista permette di appurare se sussistono delle cause genetiche che predispongono la coppia all’infertilità e di eseguire degli specifici screening in caso di età materna avanzata, sulla base della storia familiare della coppia (presenza in famiglia di specifiche patologie, casi di abortività, malattie autoimmuni) o qualora sussista il rischio di malattie trasmissibili. 

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